A volte capita di sentir dire che i magistrati non fanno il loro dovere perché “concedono” troppo frequentemente il giudizio abbreviato, soprattutto in casi di delitti particolarmente sentiti, come quelli sessuali. Questo rito viene interpretato come un vantaggio inaccettabile a favore dell’imputato, al quale viene accordato uno sconto della pena. In realtà non si tratta di questo e forse la maggior parte delle persone  non conosce realmente l’istituto di cui tanto si sente parlare.
Il giudizio abbreviato, che può essere richiesto nei procedimenti relativi a qualsiasi reato, è uno dei cinque procedimenti speciali previsti dal libro VI del codice di procedura penale, e in virtu’ di tale rito il processo viene definito nell’udienza preliminare, e ciò significa che, a differenza di quanto accade nel rito ordinario (il quale comprende anche la fase predibattimentale e il dibattimento), al termine dell’udienza preliminare viene emessa la sentenza che chiude il processo di primo grado.
Durante l’udienza preliminare, l’indagato può chiedere che venga applicato il giudizio abbreviato, la cui richiesta può essere incondizionata, e in questo caso, ai sensi dell’art. 438 c.p.p., il giudice è obbligato ad adottarlo, oppure subordinata ad una richiesta di integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione. In quest’ultimo caso, il giudice ammette il rito se l’integrazione risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con la finalità di economia processuale propria del procedimento in esame.  Nel caso in cui la richiesta così formulata venga respinta durante l’udienza preliminare, l’istanza può essere riproposta nella fase predibattimentale, prima dell’apertura del dibattimento.
Una volta disposto il rito abbreviato, il giudice decide allo stato degli atti, ossia sulla base dei soli elementi di prova raccolti durante la fase delle indagini preliminari, non essendo consentita, in generale, la possibilità di un’attività di integrazione probatoria del giudice. Nell’ipotesi in cui il giudice ritenga di non essere nelle condizioni di poter decidere sulla base degli atti, ai sensi dell’art. 441 comma 5 c.p.p., assume anche d’ufficio gli elementi necessari ai fini della decisione.
In seguito alla richiesta di giudizio abbreviato, l’udienza preliminare viene trasformata, da udienza “filtro”, finalizzata ad accertare la necessità del dibattimento, ad udienza in cui si accerta la responsabilità o meno dell’imputato. Infatti, al termine della discussione, il giudice provvede  pronunciando sentenza di proscioglimento o di condanna, ma in caso di condanna, la pena determinata dal giudice tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita di un terzo, l’ergastolo viene sostituito con la pena della reclusione ad anni 30, mentre l’ergastolo con isolamento diurno è sostituito con l’ergastolo.
Occorre comprendere che  l’adozione di questo rito, che non è a discrezione del giudice, il quale è obbligato ad adottarlo una volta chiesto (se la richiesta non è subordinata ad un’integrazione probatoria), comporta una compressione del diritto di difesa dell’indagato, garantito dall’art. 24 comma 2 Cost., il quale rinuncia ad una difesa piena e completa, permettendo che il giudice decida allo stato degli atti. È per questo motivo che il legislatore, nel disciplinare questo tipo di procedimento, ha concesso la diminuzione della pena, proprio per compensare la compressione al diritto di difesa. Non si tratta di un beneficio gratuito nei confronti degli indagati, ma del bilanciamento con un diritto costituzionale compresso. È opportuno considerare sempre che un indagato, ai sensi dell’art. 27 comma 2 Cost., è considerato non colpevole fino alla condanna definitiva e per questo è giusto che abbia a disposizione tutti i mezzi appropriati alla propria difesa.
Per di più, attraverso l’utilizzo di questo procedimento, è possibile pervenire con maggiore celerità alla conclusione del processo, escludendo anche il pericolo della prescrizione del reato (che estingue il reato, quando, a causa delle lungaggini del processo penale, non si arriva entro un termine – pari al massimo della pena prevista per ogni reato – ad una sentenza definitiva, ossia non più suscettibile di impugnazione): in caso di accertamento della responsabilità penale dell’indagato, si giunge così molto più rapidamente ad una sentenza di condanna, con vantaggio anche per quanto riguarda la certezza del reato.
Paradossalmente, in alcuni casi, la richiesta di applicazione del rito abbreviato potrebbe essere sfavorevole per l’indagato, perché  lo potrebbe condurre ad una condanna alla quale potrebbe giungere, a causa dei tempi processuali, con molto ritardo o addirittura mai. Quindi la richiesta di rito abbreviato non è un’ammissione di colpevolezza (anche perché alla conclusione del rito può comunque essere emanata sentenza di proscioglimento!), ma solo una delle modalità previste dalla legge di affrontare un processo penale.
Il fatto che la pena venga ridotta di un terzo, non deve preoccupare l’opinione pubblica perché  il giudice, tra il minimo e il massimo di pena prevista dal codice penale per ogni reato, seleziona sempre quella più confacente al caso in esame, tenendo conto anche della principale funzione della pena, quella rieducativa. Quindi, nonostante la riduzione, i magistrati cercano sempre di infliggere pene adatte a raggiungere lo scopo punitivo e rieducativo, che è sicuramente il più importante, stante l’impossibilità di qualsiasi sanzione di riparare integralmente i danni sofferti dalla vittima di un reato, specie nei reati particolarmente gravi come l’omicidio: nessuna pena inflitta all’autore del reato potrà mai restituire la vita alla vittima! E’ più utile, quindi, rieducare il condannato, in modo che, una volta reinserito nella società dopo aver scontato la pena, non commetta nuovi reati.
In conclusione, sarebbe opportuno  iniziare a reputare il giudizio abbreviato  uno strumento utile a tutte le parti del processo e non più  “un’offesa ulteriore alla vittima”, la quale, invece, può trovare giovamento da questo rito, consistente nella certezza della definizione, in tempi brevi, del giudizio.

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